Alpinismo Extra Europeo
Perù 94
Relazione di Giacomo Scaccabarozzi
La montagna come la vita alterna momenti belli a momenti purtroppo tristi. Un viaggio in Perù era per me e per l'amico Oreste Forno un omaggio doveroso alla memoria di due nostri amici, mai conosciutisi tra loro: Riccardo Verderio e Battistino Bonali.
Il primo non era certo quello che si può definire un alpinista famoso, ma chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo sa che, come tanti, ha avuto il solo torto di avere parlato poco di sé.
Se ne è andato prima ancora di compiere trent'anni tradito dalla cosa che più amava. Se ne è andato in montagna, volato via in silenzio, proprio come aveva vissuto la sua breve, ma intensa esistenza. Dopo tanti anni di avventure in comune, con gli sci, in parapendio, a camminare, ad arrampicare, in molte parti del mondo, avevamo dedicato qualche giorno a visitare la Val di Lanzo; giunti sulla Punta Maria, a 3305 metri di quota, ebbe solo il tempo per stringermi la mano. Era il 4 aprile 1994.
Perdere un amico e compagno di cordata è un evento che segna nel profondo, tanto più se questo avviene davanti ai propri occhi; questo dolore mi accompagna ogni giorno e non trova parole. Poteva però essermi di grande aiuto ricordarlo nel luogo che più amava e sulla montagna che progettava di raggiungere con me.
Battistino Bonali era invece molto conosciuto nell'ambiente. La salita all'Everest per la parete nord aveva contribuito a dargli popolarità, non certo a fargli perdere la sua riservatezza e la sua bontà. Aveva 31 anni quando, assieme all'amico Giandomenico Ducoli, precipitò dalla parete nord del Huascaran, la cima più alta del Perù, in seguito a una scarica di sassi e ghiaccio; i due erano impegnati su di una via molto difficile, mai ripetuta dopo la sua apertura avvenuta 17 anni prima. Vennero ritrovati solo dopo 8 giorni di ricerche: erano ormai giunti a pochi metri dalla vetta, l'8 di agosto 1993.
Battistino, oltre che amico mio, di Oreste Forno e Graziano Bianchi, suoi compagni all'Everest nel 1991, era molto amico del "Mato Grosso", l'organizzazione salesiana che da circa 30 anni è impegnata con numerosi volontari italiani in opere caritatevoli in tutto il Sud America, e in Perù in particolare.
L'idea di salire in cima al Huascaran per ricordare questi amici scomparsi fu presa di comune accordo e un atto dovuto. Assieme agli amici del "Mato Grosso", volevamo ripetere l'esperienza di 4 anni prima, quando Battistino accompagnò sulla stessa montagna una ventina di giovani seminaristi peruviani.
"Puntuali all'appuntamento, il 7 di agosto siamo alla Garganta, a 5925 metri, il famoso colle che porta alle due vette del Huascaran, la nord e la sud. È una notte stellata e fatico a prendere sonno. Oreste e Graziano sono scesi in mattinata portandosi in spalla due ragazzi colpiti la notte precedente da edema polmonare; chissà dove saranno! Nonostante questo, abbiamo deciso di proseguire. Con me è rimasto il gruppo di seminaristi, ormai ridottosi a 22, Marcos e Cesar, le due guide andine, Padre Daniele e cinque amici italiani volontari del "Mato Grosso". Padre Hugo De Censi, il fondatore valtellinese di questa grande opera, è giù in valle e starà trepidando ancora di più di me.
- L'Huascaran è a metà strada tra il Monte Bianco e l'Everest, non presenta alcuna difficoltà tecnica, se non un grosso seracco poco sotto la Garganta, e si trova nella più bella Cordillera andina, la Blanca, conosciuta anche col nome di Himalaya d'America.
È vero, la natura quaggiù ha fatto un lavoro da artista, e sarebbe anche bello rimanere ad ascoltare le storie del mio amico Marcos, poter recuperare le forze, rendere di nuovo obbedienti gli occhi e calmare il cuore senza dormire in queste dolci notti estive sulla magica Cordillera trapuntata di stelle. Chiuso nella tendina ai 5900 metri della Garganta il sonno continua a non venire, ma domani è un giorno importante e devo assolutamente addormentarmi, anche se la notte fuori è troppo bella per essere passata qua dentro. Come tutte le mie notti sulla Cordillera Blanca, dopo il pomeriggio di nubi, nebbie e nevischio, anche questa notte ha acquistato una dimensione fantastica. Fuori, le luci del fondovalle si fondono con le stelle, e le candide piramidi di ghiaccio sembrano rifletterne i colori in una continua lusinga.
E poi c'è questo sogno estivo folle e guizzante che contribuisce ad agitarmi, e che nel buio della tenda sembra tanto insensato.
Che idea: scendere dall'Huascaran col parapendio. Come non bastasse, il compito di dare una mano alle due guide peruviane ad accompagnare sulla vetta, a circa 6700 metri di quota, i ventidue ragazzi di Chacas, alla loro prima esperienza di questo genere.
I pensieri per l'indomani si accavallano confusamente promettendomi pessimi sogni.
Al Pisco non resistetti; dieci giorni fa il mio sonno trovò pace solo quando decisi di rinunciare al parapendio per una più lunga ma tranquilla discesa a piedi. Così arrivò il sonno, seguito da una meravigliosa cima, anche se un po' sofferta coi suoi 5752 metri dopo solo cinque giorni di Perù.
Rinunciai a un gesto egoistico con una decisione che, ancora oggi, non so se di buon senso o di vigliaccheria. So solo che quella notte trovai qualche ora di sonno, pur dibattuto tra i pensieri di un ragazzo belga scomparso cinque giorni prima in qualche crepaccio di quel ghiacciaio.
E poi c'è la brutta storia dei due ragazzi colpiti da edema polmonare che mi fa capire che a queste quote non si scherza proprio, neppure quando si pensa di avere vinto il "soroche". Queste montagne assomigliano tanto alle nostre da farci scordare i loro 2000 metri di altezza in più. Montagne che sembrano una sfida alle leggi della gravità, svettando nel cielo con forme quasi irreali, bianche pennellate su di un blu cobalto. Non ci si stanca mai di guardarle, da ogni angolazione, e si vorrebbe raggiungerle il più in fretta possibile.
Viene da chiedersi se in cambio di un poco della loro bellezza la gente che le abita non avrebbe potuto avere qualche fortuna in più. Ma il Perù è così: ricco di contraddizioni e contrasti iperbolici e fuori da ogni regola. Da sempre ha affascinato viaggiatori, conquistatori e turisti. Non poteva non farlo con me.
Non resisto: esco dalla tenda, ho ancora le scarpette umide e i piedi freddi per il bagno fuori programma fatto ieri nel torrente ai piedi del ghiacciaio, ma il panorama che mi offre questo osservatorio notturno sospeso sui seracchi è troppo bello. Resto così a contemplare il miracolo della natura in questa notte senza luna. A riflettere più serenamente su quanto vissuto in questi venti giorni di Perù, a pensare alle sorprese che ancora mi riserverà, anche se dai racconti di alpinisti e viaggiatori mi sembra conoscere ormai tutto.
Ripenso alla salita del Pisco, compiuta il 27 luglio dopo solo sei giorni dal nostro arrivo, penso a quella del Chopicalqui, di 6343 metri, avvenuta tre giorni dopo e ben più impegnativa della prima, dove abbiamo trovato il nostro unico giorno di brutto tempo e dove siamo stati respinti da una grande cornice a solo dieci metri dalla vetta. Ma penso soprattutto al lungo giro fatto sulla Cordillera Blanca, alla visita fatta alle missioni del "Mato Grosso", a tutta la miseria incontrata, seconda solo a quella conosciuta in Bolivia.
Se tutto andrà bene, prima di rientrare in Italia, il 19 di agosto, avremo ancora il tempo per visitare i luoghi che la civiltà preincaica ha lasciato sospesi tra leggenda e realtà: Cusco, Titicaca, Machu Picchu, Puno, Uros, Nazca, Chavin, Paracas. Nomi di civiltà ormai perse, che una schiera di guide locali si premurano di raccontarci per farci capire come erano loro fino a cinquecento anni fa. Ma oggi come sono?
La colonizzazione degli spagnoli, prima, e degli statunitensi, poi, seguita da uno sviluppo senza regole, ha snaturato questo splendido Paese rendendolo quasi anonimo e privandolo del suo fascino originario.
Oggi le montagne di questa gente sono sempre più frequentate e sempre meno pulite, come le nostre; la sua musica è sempre più fracassona e sempre meno romantica, come la nostra.
Eppure esiste ancora un Perù diverso da quello raccontatoci finora e sotto gli occhi di tutti. Un mondo fatto di montagne superbe e incontaminate dove si può trovare sempre qualcosa di nuovo, per arrampicare, per volare, ma soprattutto dove scoprire qualcosa capace di far volare la fantasia. Un mondo fatto di gente fantastica che vive ai piedi di queste montagne in modo dignitoso, pur oppressa da una miseria vergognosa, sbeffeggiata com'è da governanti disposti solo a rubare ai più poveri per dare ai più ricchi; è la solita storia.
Una realtà così bene avvertita da Battistino; ma da quanti altri?
Mi consolo pensando che quaggiù un barlume di fiducia c'è, una tenue fiammella tenuta accesa a fatica, una piccola speranza che può aiutare questa gente ad accarezzare il sogno di una vita meno grama e più dignitosa: la fiammella del "Mato Grosso". Non si può fare a meno di notarne la presenza girando per i villaggi e per le strade polverose della Cordillera, così come non si può non accettare di essere loro ospiti in una delle numerose missioni sparse oltre i 3000 metri di questa zona: da Llamellin a Jangas, da Yanama a Chacas, da San Louis a Marcarà. Sono ragazzi come noi, madri e padri di famiglia, preti che dedicano anni della loro vita per dare una speranza ai discendenti di quella civiltà così bene rappresentata sul gigantesco murales di Cusco, triste parabola di un popolo che tenta di risollevarsi cercando all'orizzonte una speranza non tanto per un futuro migliore, quanto per un futuro. Domani dovrò aiutare, anche fisicamente, quel gruppo di ragazzi a salire sulla vetta della loro vita, ma soprattutto vorrei che credessero in questa vetta come in un obiettivo che va ben al di là del suo valore, ben al di là dei loro sogni e delle loro speranze di ventenni.
Penso ai sogni e alle speranze che cullavo da ragazzo, in quell'età incredibile in cui si è convinti che niente al mondo sia impossibile, in cui si crede di essere amati da tutti. Quante diversità!
Con questi pensieri rientro in tenda. Gli amici peruviani dormono tutti già da parecchio tempo; sento che i miei problemi perdono all'improvviso importanza e mi lascio finalmente addormentare.
L'alba è ancora nei miei occhi quando vedo arrivare la vetta dell'Huascaran. La salita è volata via stranamente senza pensieri. Osservo arrivare uno a uno i ragazzi di Chacas: quanto pudore nel mostrare la loro gioia, o forse sono solo stanchi. È l'8 agosto: sono sicuro che anche per loro è un grande giorno, o quantomeno un giorno meno triste degli altri, anche se questa vetta è un traguardo voluto soprattutto per ricordare Battistino Bonali e Giandomenico Ducoli, scomparsi esattamente un anno fa, e Riccardo Verderio, che doveva essere qui con noi.
Vinciamo le lacrime con un grande abbraccio; siamo in trenta attorno a Padre Daniele. Le sue preghiere vengono disperse dal vento della Cordillera in un ambiente rarefatto. Lo stesso vento, qualche istante dopo, mi accompagna in una cavalcata fantastica e irreale sopra i ghiacci candidi e selvaggi come i pensieri degli amici peruviani che mi osservano orgogliosi e pieni di gioia.
L'emozione del volo lascia lo spazio per osservare il superbo volteggio di un condor che mi passa vicino. Non sembra infastidito, solo un poco incuriosito dalle mie "piume" colorate. Poi se ne va, leggero e silenzioso come è arrivato, indifferente a quanto gli sta sotto.
Per me invece è già ora di guardare giù. La gente di Musho è tutta radunata ad attendermi intorno a un grande spiazzo erboso; oggi è festa grande. E so già cosa succederà non appena metterò piede a terra. Mi è già capitato in altre occasioni, al ritorno da altre montagne, a Yanama, a Chacas, a Llanguanuco, al Portachuelo de Honda.
Ed è bello pensare di riuscire a donare un po' di gioia a questa gente, anche se per pochi attimi. Quella stessa gioia che nasce dall'emozione che solo i semplici e gli umili sanno provare quando, alzando gli occhi, scorgono il condor passare alto nei cieli della loro Cordillera.
È bello, anche se so già che la sofferenza e la miseria in questi luoghi rimarranno come prima".
Componenti della spedizione "Perù - Pro Mato Grosso '94":
Oreste Forno (1951), di Osnago,
Graziano Bianchi (1937), di Erba,
Ombretta Bianchi (1966), di Osnago e
Giacomo Scaccabarozzi (1951), di Missaglia
http://digilander.libero.it/caivim/extra
Di
roberto
(inviato il 28/11/2005 @ 22:48:01)